Si utilizza sempre più spesso in contesti culinari ma anche in ambito nutrizionale il termine di specie antiche, relativamente a colture della tradizione italiana. Ma quali sono queste specie e, soprattutto, quanto sono antiche? E ancora, è vero che sono più salutari, nutrizionalmente parlando, rispetto a specie più moderne?
Il grano più antico (geneticamente parlando) tutt’oggi in commercio nel nostro paese è il Triticum monococcum, la specie più semplice dal punto di vista genetico e che non si è mai incrociata spontaneamente con nessun’altra varietà. Le altre varietà antiche, di cui abbiamo testimonianza nei ritrovamenti archeologici, risalgono a circa 19.000 anni fa nella Mezzaluna Fertile e riguardano, tra le altre, il Triticum dicoccum (farro dicocco), il cereale più diffuso durante il periodo dei Romani, risultato di un improbabile incrocio spontaneo tra due specie diverse (un incrocio “contronatura” cit.). Solo a partire dal Medioevo prenderà piede il grano tenero che soppianterà il farro.
Alcune delle varietà che conosciamo sono quindi il risultato di incroci spontanei tra piante, altre derivano dalla continua opera di selezione e incrocio attuati dall’uomo, che con l’agricoltura mette i bastoni fra le ruote all’evoluzione e cerca di dirigerla, prediligendo caratteri interessanti agronomicamente ma che in un contesto naturale potrebbero essere addirittura d’intralcio [1,2]
Negli ultimi anni abbiamo assistito quindi alla reintroduzione sul mercato di alcune varietà di grani “antichi”, sia per una questione di tutela della biodiversità che per il recupero di sapori più “tradizionali” e “autentici”. Certamente importante e lodevole il recupero di specie che altrimenti rischierebbero di estinguersi, nell’ottica dell’incremento della biodiversità. Diverso è invece il tentativo di spacciarle come più salubri, meno raffinate, più digeribili e meno ricche in glutine rispetto al grano oggi coltivato su larga scala. Tentativo che alla fine ha contribuito a creare attorno a queste specie un’aura mistica di genuinità e superiorità che, a conti fatti e dati alla mano, lascia il tempo che trova.
Tra le varietà italiane (mica tanto italiane…) più in voga troviamo Senatore Cappelli, Tumminia, Saragolla, Maiorca, coltivate moltissimo nei primi decenni del ‘900, scomparse quasi del tutto per via delle rese troppo basse, eccezion fatta per Cappelli e Tumminia che oggi sono tornate in pista. Se è vero che queste varietà hanno fragranze diverse e particolari, non è altrettanto vero che siano meno artificiali di qualità più moderne, perché allo stesso modo di queste ultime sono state selezionate mediante incroci e ibridazioni a partire da varietà presenti in altri paesi del Mediterraneo. Per esempio, il Senatore Cappelli che tanto viene sbandierato come grano italiano è in realtà una varietà tunisina selezionata dal genetista Strampelli negli anni ’30 del secolo scorso. E come questa altre varietà “italiche”.
E per quanto riguarda il glutine?
Un grande classico che accompagna la narrazione sui “grani antichi” è quello del minor contenuto in glutine, qualcuno è arrivato addirittura ad ipotizzare che l’incremento dei casi di celiachia sia dovuto al consumo di varietà moderne a discapito delle “antiche”, fino addirittura a suggerire (pericolosamente) che i grani antichi potessero essere adatti al consumo da parte di soggetti celiaci. – Diversi articoli scientifici hanno studiato la composizione ed il potenziale allergenico del glutine dei grani antichi rispetto a quelli più recenti, ma i risultati ottenuti sono stati contraddittori. Allo stesso modo, sebbene un limitato numero di ricerche condotte in modelli sperimentali o sull’uomo abbiano rivelato un potenziale effetto benefico dei grani antichi su alcuni parametri cardio-metabolici ed infiammatori, la letteratura non è ancora unanime nel riconoscere queste proprietà. Non è quindi possibile concludere che il consumo dei derivati dai grani antichi possa ridurre il rischio di sviluppare patologie croniche. – (ISS – Istituto Superiore della Sanità)
La smentita sul contenuto di glutine è arrivata ben presto, mettendo a confronto le varie tipologie di grano. In questo modo si è scoperto che non è tanto l’essere una qualità antica o moderna a fare la differenza in tal senso, quanto le caratteristiche intrinseche delle varietà e quindi la genetica, ma anche altre caratteristiche come la zona di coltivazione, le condizioni climatiche, le caratteristiche del suolo e le modalità di fertilizzazione, la quantità di acqua somministrata alle colture, a determinare la variazione in contenuto di glutine del chicco.
Il glutine rappresenta circa l’80% del contenuto proteico del frumento, se fosse vero che, come sostenuto da qualcuno, i grani moderni contenessero un più alto contenuto di glutine, la % complessiva di proteine di questi grani dovrebbe aumentare, e questo non avviene.
Varietà diverse di grani hanno % diverse di glutine e di conseguenza si prestano bene per preparazioni specifiche: la pasta si fa con farina di grano duro, gli impasti lievitati è meglio farli con farine di grani teneri per un miglior risultato. Il tutto sta in ciò che si vuole ottenere.
Ho parlato fino ad ora di grani italiani ma un grande protagonista di narrazioni fantastiche è il Kamut®, che è un marchio registrato mica una varietà di grano che invece si chiama Khorasan ed è una varietà iraniana. Il suo contenuto in glutine sta intorno al 14%. Non è un grano dalle proprietà particolari, ha sicuramente una fragranza particolare, personalmente la apprezzo.
Viene spesso riportato che i grani antichi, rispetto alle varietà moderne, siano più salubri in quanto non necessitano di diserbanti e concimi oppure che siano meno raffinati perché le loro farine vengono macinate a pietra. Le modalità di coltivazione e il tipo di macinazione poco hanno a che fare con le varietà di grano, ma dipendono da scelte aziendali dei produttori. L’offerta dei grani antichi viene spesso proposta da piccoli produttori particolarmente attenti a garantire condizioni ottimali di coltivazione e manipolazione delle materie prime. Alla luce dei dati attualmente disponibili, non esiste la certezza che i grani antichi debbano essere preferiti a quelli moderni per tutelare la nostra salute. [3,4]
Per concludere, scegliere una varietà piuttosto che un’altra deve essere esclusivamente una scelta di gusto e funzionalità, anche di etica certamente. Ma questo non ha nulla a che fare con vantaggi per la nostra salute, come mostrano i dati delle ricerche condotte fino ad oggi. Ciò che incide in questo senso invece è la variabilità di ciò che consumiamo, quindi ben venga il consumo di diverse varietà e in particolare dei prodotti integrali, perché questo si che garantisce di assumere con la dieta miscele di composti diversi, alcuni innocui altri meno come è ovvio che sia (i composti dannosi sono presenti in tutti i cibi, è la dose di assunzione che determina l’effetto, sia chiaro), ma non deve passare il messaggio che “moderno” e “raffinato” siano causa di tutti i mali (come purtroppo qualche sedicente professionista si ostina a perorare!).
Basta scegliere con la testa, in maniera critica e consapevole ma sulla base di informazioni non viziate da interessi e mala fede.
Contro Natura – Dario Bressanini e Beatrice Mautino
https://www.fidaf.it/wp-content/uploads/2017/07/Il_Frumento.pdf
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