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Immagine del redattoreArianna Messina

Disturbi alimentari: una panoramica del momento

Un Disturbo Alimentare (DA) è una condizione patologica complessa caratterizzata dall’alterazione delle abitudini alimentari e comportamentali che portano chi ne è affetto a vivere con ossessiva attenzione alla propria immagine corporea, al proprio peso e a una eccessiva necessità di stabilire un controllo su di esso. Sebbene il peso sia un importante indicatore, tuttavia non deve essere considerato il solo fattore di rischio fisico perché anche persone di peso corporeo normale possono essere affette dalla patologia. I DA possono compromettere seriamente la salute di tutti gli organi e apparati del corpo (cardiovascolare, gastrointestinale, endocrino, ematologico, scheletrico, sistema nervoso centrale, dermatologico ecc.) e, nei casi più gravi, portare a morte [1]

Quello dei DA è un problema di sanità pubblica di crescente importanza, dal momento che negli ultimi decenni c’è stato un notevole abbassamento dell’età di esordio, in particolar modo per quanto riguarda l’anoressia e la bulimia. Un esordio precoce si associa spesso a rischi e conseguenze più severe che vanno oltre la malnutrizione. Motivo per il quale un intervento preventivo e tempestivo risulta estremamente importante.

L’ultima revisione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder (DSM-5) prevede la seguente suddivisione diagnostica dei DA:

pica (infanzia)

disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo (infanzia)

anoressia nervosa (AN)

bulimia nervosa (BN)

disturbo da alimentazione incontrollata (DAI) o binge-eating

disturbi dell’alimentazione con altra specificazione e senza specificazione

I DA colpiscono soprattutto le e gli adolescenti ma ciò non esclude la comparsa di alcuni specifici disturbi in età adulta. Gli ultimi dati relativi al 2020 parlano di un’età di insorgenza compresa tra 9-10 anni con una crescente diffusione dei disturbi nella popolazione maschile. C’è da precisare che i dati di incidenza sono sottostimati non essendo possibile una tracciabilità reale di queste patologie in quanto ancora spesso non riconosciute e diagnosticate adeguatamente in fase preliminare. Un altro dato che va sottolineato è l’incremento del 30% dell’incidenza di anoressia e bulimia nel corso della pandemia, a dimostrazione di come l’isolamento dai compagni di scuola, l’impossibilità di fare attività fisica, la forzata e prolungata convivenza con la famiglia e la costante disponibilità di cibo in casa hanno peggiorato le condizioni di chi soffre di disturbi alimentari.

La bigoressia interessa in particolar modo i soggetti maschi, caratterizzata da un’ossessione per lo sviluppo esagerato della massa muscolare

Contrariamente a quanto emerso dai dati degli anni passati i DA non sono più da considerarsi patologie di genere, ossia che interessano solo la sfera femminile, essendo passati nell’ultimo decennio da un’incidenza nei maschi dell’1% al 10% fino a raggiungere il 20% di incidenza nella fascia di età tra i 12-17 anni. Tra una decina di anni il gap tra maschi e femmine potrebbe quindi non essere più così grande.

Ma cosa contribuisce allo sviluppo di un disturbo alimentare?

L’eziologia dei DA è complessa, i fattori contribuenti al loro sviluppo sono molteplici e stabilire un’unica causa non è possibile. Si va da fattori di rischio generali e sociali a familiarità psichiatrica, passando per quelli legati alle variabili correlate al peso e all’alimentazione nell’infanzia, ma anche di carattere traumatico. Certamente sono le teorie di sviluppo dei DA che mettono al centro la cultura di origine e il valore culturale che da alcuni anni viene attribuito alla magrezza o a modelli di fisicità omologata nel mondo occidentale che trovano conferma empirica nei dati epidemiologici.

L’imposizione di modelli e stereotipi sociali favorita dai nuovi mezzi di comunicazione digitale, le trasformazioni culturali delle abitudini familiari e sociali del mangiare e della convivialità, hanno portato ad un aumento vertiginoso dei DA con una vera e propria “epidemia sociale”.

Da sottolineare come negli ultimi decenni siano comparse espressioni nuove della patologia con aspetti clinici che sono diversi da quelli classici e meglio conosciuti e pertanto non inquadrati dal punto di vista diagnostico ma considerati come comportamenti a rischio di sviluppo DA.

Tra questi:

  1. la bigoressia (o vigoressia o dismorfia muscolare), che interessa in particolar modo i soggetti maschi, caratterizzata da un’ossessione per lo sviluppo esagerato della massa muscolare che porta all’applicazione di diete iperproteiche e ipocaloriche, la quale si associa spesso all’ortoressia ossia l’ossessione per il cibo ritenuto “sano”;

  2. la drunkoressia che prevede di digiunare per poter compensare l’introito calorico derivante dall’assunzione di alcolici;

  3. la pregoressia pericolosissima pratica di sottoalimentazione in gravidanza per contrastare l’aumento di peso (che ricordiamo essere fisiologico e di fondamentale importanza per il corretto sviluppo fetale e la salute della gestante);

  4. la sindrome da alimentazione notturna una combinazione di un disturbo dell’alimentazione, un disturbo del sonno e di un disturbo dell’umore, che coinvolge soprattutto le persone adulte. L’alterazione dei ritmi biologici porta a ritardo nell’insorgenza di appetito mattutino e continuazione dell’assunzione del cibo durante la notte;

  5. il vomiting vomito auto-indotto dopo avere consumato il pasto, il più delle volte in forma di abbuffata. Il rituale magiare-vomitare inizialmente si presenta in modo saltuario, successivamente diviene spontaneo e abituale e spesso anche slegato dall’atto del mangiare;

  6. l’exercising la persona, pur cercando di alimentarsi in modo equilibrato, finisce poi per perdere il controllo sul cibo e pur di bruciare calorie ricorre a una attività fisica intensa ed estenuante;

  7. diabulimia disordine alimentare e psicologico che colpisce circa un terzo delle giovani donne diabetiche che, per conformarsi ai modelli dei media e perdere peso più rapidamente, “saltano” le iniezioni di insulina provocando un aumento pericoloso della glicemia nel sangue.

Quelli appena citati rientrano tra i nuovi disturbi alimentari che si stanno sempre più diffondendo tra la popolazione e la cultura del mondo occidentale. La ragione di tutto questo proliferare di diagnosi è la necessità di non sottovalutare un gran numero di persone che si rivolgono a personale qualificato con problemi che non hanno le caratteristiche tipiche dei due disturbi più conosciuti: anoressia nervosa e bulimia nervosa.

Un incremento del 30% dell’incidenza di anoressia e bulimia nel corso della pandemia

E a proposito di cultura è doveroso aprire una piccola parentesi sul fenomeno della diet culture: un insieme di credenze permeate nella società che portano a credere che sia giusto comportarsi in un certo modo e seguire certi tipi di modelli, non solo fisici ma anche ideologici, omologati e fortemente stereotipati. Il fatto che sia una cultura vuol dire che è parte di noi, che è stata interiorizzata e che viene riprodotta proprio dai nostri atteggiamenti, dai discorsi sul cibo e sulla fisicità. Questo non fa altro che alimentare quel sistema che mette al centro continuamente il giudizio verso sé e verso gli altri, rendendo un atto semplice come quello di mangiare e prendersi cura del proprio aspetto e della propria salute un’ossessione che può poi sfociare in vero e proprio disturbo patologico.

Come capire se si soffre di un DA?

Se c’è un una caratteristica tipica dei DA quella è il fatto di essere patologie a carattere egosintonico, ossia quella condizione psichica che il soggetto integra nella sua mente rendendola assolutamente coerente con i comportamenti, gli stati d’animo, le emozioni che vive ogni giorno. Tutti i rituali che concorrono allo sviluppo e al mantenimento del disturbo alimentare, che possono essere l’evitamento del cibo, l’eccessivo esercizio fisico, la fobia verso alcuni alimenti, non vengono vissuti come sgradevoli, incoerenti o disturbanti, al contrario vengono percepiti come rassicuranti e integrati nella propria esperienza di vita.

Risulta pertanto estremamente difficile scalfire un comportamento che riceve un continuo rafforzamento. L’individuo affetto da DA spesso non vede la sua malattia, perché la sua condizione è la sua scelta di vita. Ecco perché ogni percorso terapeutico dovrebbe partire da questo presupposto.

In ogni caso, al di là della sintomatologia specifica, ci sono altri segnali per capire se siamo di fronte a un disturbo alimentare.

Tra i più frequenti:

  1. la paura di aumentare di peso, dunque la continua insoddisfazione per il proprio peso e forma fisica

  2. le condotte compensatorie come digiuni, espulsione del cibo introdotto tramite vomito autoindotto o lassativi, aumento dell’esercizio fisico

  3. ricorsività e compulsività di alcuni atteggiamenti incontrollati

A chi rivolgersi?

Esistono diverse strade da poter intraprendere per ricevere una diagnosi, dal sistema sanitario pubblico, passando per i/le professioniste in libera professione fino alle cliniche specializzate. Solitamente un primo approccio avviene proprio con il sistema sanitario pubblico, motivo per il quale è necessario che in quest’ambito ci siano dei percorsi dedicati tali da individuare tempestivamente casi di DA. Per questo motivo dal 2018 è stato istituito il Codice Lilla, un iter ospedaliero pensato appositamente per accogliere e avviare a un percorso terapeutico mirato per chiunque si presenti in Pronto Soccorso con un sospetto Disturbo Alimentare. Il problema è che ad oggi sono pochissime le strutture ospedaliere in Italia che si sono adeguate alle disposizioni ministeriali in modo da garantire una corsia preferenziale ai pazienti affetti da DA. Non di rado succede infatti che il compito di segnalare casi affetti da DA sia lasciato alle associazioni di familiari di persone affette da Disturbi Alimentari.

E’ possibile visitare il sito di riferimento www.disturbialimentarionline.it che fornisce una mappa dei servizi pubblici e privati, oltre al numero verde da poter contattare 800180969.

Rivolgersi a dei centri specializzati è certamente la scelta migliore, in quanto il metodo di cura proposto è di tipo multidisciplinare, in cui professionisti con competenze diverse collaborano integrando e coordinando i loro interventi terapeutici, in particolare, deve essere garantita l’integrazione tra l’aspetto clinico-nutrizionale e quello psicologico, prevedendo un lavoro di equipe tra i medici (psicologa, dietista e psichiatra), fondamentale per il trattamento di una patologia che colpisce il soggetto a vari livelli.

Changing the word impossible to possible.

Soffrire di un disturbo dell’alimentazione sconvolge la vita di una persona e ne limita le sue capacità relazionali, lavorative e sociali. La pervasività dei sintomi, insieme all’alto tasso di mortalità di specifici disturbi della categoria diagnostica, richiedono un intervento precoce. Di fondamentale importanza risulta senza dubbio garantire un supporto anche alla famiglia del-la paziente, in termini di supporto psicologico e partecipazione a gruppi di auto-aiuto.

Bibliografia e Sitografia

DSM-5 Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Cortina, 2014

Dalla ragione Laura – Dati preliminari progetto contrasto alla malnutrizione 2019-2020

Ruocco Raffaele – DCA: nuove concettualizzazioni

R. Ruocco & al. Il cibo delle dee. Il contributo del Pellicano onlus per la cura dei disturbi alimentari, Aguaplano, Passignano s.T. 2013.

Mendolicchio Leonardo – Foodmind

Vincenzi M., Paolini B., Pasquini E. – I disturbi alimentari. Dietetica e Nutrizione: Clinica e organizzazione, Del Toma.

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