La sindrome dell’intestino irritabile (IBS, Irritable Bowel Syndrome) è un problema che riguarda un gran numero di persone. Si stima che a soffrirne in Italia sia circa l’11% della popolazione compresa tra i 20-50 anni con una maggiore incidenza nei soggetti di sesso femminile. Questi numeri però rischiano di essere sottostimati a causa delle mancate diagnosi dovute alla particolarità della sindrome, ossia la costellazione di sintomi che la caratterizzano.
I fastidi più frequenti sono gonfiore, distensione e dolore addominale, alterazioni del transito intestinale e dell’alvo, meteorismo e flatulenza. Questi sintomi nel tempo possono causare un notevole peggioramento della qualità della vita dei soggetti che ne soffrono fino a divenire fonte di intensa ansia, condizione che a sua volta amplifica i sintomi intestinali.
Benchè queste alterazioni funzionali non siano accompagnate da lesioni a carico di organi o variazioni di specifici parametri ematochimici, sono spesso associate ad altre malattie dell’apparato gastrointestinale come reflusso gastroesofageo e dispesia, e molto spesso a patologie caratterizzate da dolore ricorrente come la fibromialgia e la sindrome da fatica cronica, e alcuni disturbi psichiatrici come ansia e depressione.
In ogni caso le manifestazioni presentano alta variabilità interpersonale e addirittura intrapersonale: uno stesso soggetto nel corso del tempo alterna diverse manifestazioni e di diversa entità.
Capiamo bene quanto l’impatto sulla vita delle persone che soffrono di IBS possa essere a volte devastante.
Le cause di questa sindrome non sono ancora del tutto chiare, sappiamo però essere il risultato di una somma di diversi fattori eterogenei, pertanto il suo trattamento deve essere di tipo multidisciplinare, con particolare riguardo alla dieta e allo stile di vita nel complesso.
Tra le cause di IBS c’è sicuramente un’alterazione della funzionalità del sistema nervoso enterico. Sembra infatti che questo sistema presenti una spiccata sensibilità nei soggetti con IBS, per cui la distensione delle pareti intestinali acutizza la percezione del dolore, ma anche alterazioni nella secrezione della serotonina, molecola importante per la regolarità della motilità intestinale e dell’attività secretoria intestinale. Questo porterebbe ad una successiva compromissione del funzionamento dell’asse intestini-cervello con la comparsa dei classici disturbi dell’IBS, talvolta accompagnati da ansia e depressione.
Allo stesso tempo, fattori psicologici e sociali possono essere tra gli agenti causa di anomalie nell’azione del sistema nervoso enterico, come mostra l’associazione osservata tra situazioni di forte stress e sintomi gastrointestinali.
Il fatto che l’IBS si presenti con maggiore frequenza tra i membri di una famiglia suggerisce che alla base potrebbero esserci fattori genetici, ma ad oggi non si hanno evidenze che confermino questa ipotesi.
Un’altra causa scatenante la sindrome possono essere le infezioni intestinali, da parassiti o batteri, che stimolando continuamente il sistema immunitario contribuiscono all’instaurazione di un’infiammazione di basso livello che contribuisce ad alterare il microbiota intestinale, in particolare a livello del colon dove risiedono la maggiore quantità delle popolazioni microbiche intestinali. L’alterazione del microbiota sembrerebbe essere tra le principali cause dei sintomi da IBS.
Per quanto riguarda la maggiore incidenza nel sesso femminile, la causa potrebbe essere il ruolo degli ormoni sessuali femminili responsabili dell’incremento dell’intensità dei sintomi durante ciclo mestruale e gravidanza e della conseguente modulazione del microbiota intestinale.
Infine arriviamo alla dieta. Le ricerche più recenti hanno ben evidenziato il ruolo chiave di alcune componenti dei cibi che agirebbero da innesco degli altri agenti causali. Per questo opportune modifiche alla dieta risultano parte fondamentale della terapia per IBS. La quasi totalità dei soggetti che soffrono di IBS associa la comparsa dei sintomi al consumo di cibo e di conseguenza spesso inizia ad eliminare intere categorie di alimenti senza alcun criterio e con risultati che sono altamente variabili. Questo potrebbe portare nel tempo al peggioramento della condizione o a carenze importanti, motivo per cui procedere in maniera autonoma all’eliminazione di alimenti senza prima aver ricevuto una diagnosi è ciò che andrebbe evitato.
L’unico protocollo dietetico che ad oggi ha dimostrato efficacia nella riduzione della sintomatologia e nella gestione dell’IBS, nella maggior parte dei casi, è la dieta low FODMAP. Si tratta di una dieta di eliminazione, temporanea, di tutti quegli alimenti ad alto contenuto FODMAP (oligo-di-monosaccaridi e polioli altamente fermentabili) ossia piccole molecole osmoticamente attive rapidamente fermentate dai batteri intestinali, responsabili di innescare risposte indesiderate a livello intestinale.
Non si tratta di una dieta dimagrante tantomeno adatta a chiunque, motivo per cui va prescritta da personale qualificato e solo dopo aver avuto certezza di diagnosi ed esclusione di altre patologie del tratto intestinale (es. celiachia). La dieta low FODPMAP prevede tre fasi (eliminazione, reintroduzione, mantenimento) che vanno seguite scrupolosamente in modo da individuare frequenze e quantità di consumo di quei cibi problematici al fine di seguire delle indicazioni dietetiche personalizzate in cui sono mantenute restrizioni strettamente necessarie a garantire un buon controllo dei sintomi.
Ovviamente non sempre la sola dieta può essere risolutiva, potrebbe capitare che su alcuni soggetti non abbia efficacia per vari motivi che vanno dalla scarsa aderenza al protocollo, passando per scorrette abitudini come consumo di alcolici o caffè, fino alla presenza di altre patologie interferenti. Pertanto i tipi di interventi a cui si può ricorrere vanno dalla terapia farmacologica, l’utilizzo di fibre, prebiotici e probiotici, esercizio fisico (particolarmente indicato per i soggetti con IBS con stipsi), psicoterapia.
La dieta FODMAP per il colon irritabile, Maurizio Tommasini, 2022
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