Qualche giorno fa, parlando con delle giovanissime atlete e le loro mamme, tra le tante domande mi è stata posta questa: ”ma è vero che lo zucchero di canna è migliore dello zucchero bianco? Che il miele vince su tutti e che i dolcificanti fanno male?”
Ebbene, vediamo di chiarire qualcosa e sfatare le sempre presenti convinzioni errate in tema di cibi, sulle loro virtù o i loro difetti .
Zucchero e miele sono entrambi prodotti contenenti fruttosio e glucosio. La prima differenza tra i due prodotti è che il miele è un prodotto naturale ottenuto dal lavoro delle api, mentre lo zucchero è un derivato vegetale ma lavorato dall’uomo. Nonostante questo sono dei prodotti molto simili, tuttavia il miele è ricco di sostanze nutritive utili all’organismo: vitamine del complesso B, potassio, calcio, fosforo e magnesio, anche se il loro apporto considerando le piccole dosi di miele consumate è molto basso, ha virtù antisettiche dovute alla presenza di defensina-1 (una proteina contenuta nel sistema immunitario delle api che lo rende valido anche nel trattamento topico di ustioni, ulcere e ferite della pelle).
Il miele possiede un maggior potere dolcificante rispetto allo zucchero, dunque per ottenere lo stesso effetto dolcificante dello zucchero ne occorre meno, inoltre ha un apporto calorico leggermente ridotto (circa 300 kcal per 100 g vs 392 kcal dello zucchero) perché più ricco d’acqua (il miele maturo e già pronto per il consumo contiene il 20% di acqua e l’80% di circa di zuccheri semplici tra fruttosio, la maggiore componete, e glucosio).
Il miele dunque è sicuramente un prodotto migliore dello zucchero, anche se molte volte gli vengono attribuite proprietà che non possiede. Per un diabetico sostituire lo zucchero col miele apporta qualche vantaggio ma solo se a pari quantità consumate, dunque va scoraggiato sempre e comunque un eccesso in consumo, perché il fruttosio contenuto in esso ha una doppia faccia …
… piccola digressione sul fruttosio
Se da un lato il miele ha un maggior potere dolcificante, un ridotto apporto calorico, un più basso indice glicemico (19-23 vs 100 del glucosio) e quindi non aumenta significativamente l’insulinemia e i livelli di glucosio nel sangue non si alzano così come quando si ingerisce zucchero dall’altro lato per i diabetici, oltre una certa dose, può risultare problematico perché:
ha una capacità di formare prodotti di glicazione avanzata (AGE) circa sette volte superiore a quella del glucosio (gli zuccheri in eccesso si legano ad alcuni gruppi di proteine, formando questi prodotti di glicazione avanzata che danneggiano i tessuti
l’esposizione cronica al fruttosio favorisce l’insorgenza della sindrome metabolica; [1]
una dieta particolarmente ricca di fruttosio aumenta l’insulinoresistenza; infatti, nonostante questo zucchero non aumenti direttamente la secrezione di insulina, lo fa in maniera indiretta, ostacolando il metabolismo epatico del glucosio e la sua trasformazione in glicogeno(la forma sotto cui il fegato deposita il glucosio).
Va anche ricordato che il fruttosio, assieme al lattosio, è uno di quegli zuccheri da evitare in caso di IBS (sindrome del colon irritabile): in questi casi infatti tali zuccheri arrivano quasi inalterati nel colon, dove vengono fermentati dalla flora batterica locale causando fenomeni di meteorismo, gonfiore, crampi, dissenteria e distensione addominale.
Il Saccarosio (comune zucchero da tavola)
Sulle differenze tra lo zucchero di canna e quello bianco non mi dilungo e vi rimando invece ad un simpatico e puntuale video del famoso chimico Dario Bressanini qui nel quale spiega molto bene il perché sia effettivamente l’ennesima trovata pubblicitaria e di marketing per la quale adesso un prodotto costa più dell’altro senza che alla fine ci sia la minima differenza dal punto di vista nutrizionale.
Il Miele
È prodotto dalle api a partire dal nettare dei fiori mediante una complessa rielaborazione chimico-fisica. Per lungo tempo il miele è stato il dolcificante naturale per eccellenza e la storia del suo utilizzo da parte dell’uomo ha origini antiche, dobbiamo risalire a circa 10 mila anni fa per trovare tracce di pittura rupestre che mostrano l’uomo intento a raccogliere i favi arrampicandosi sulla cima di un albero circondato da api in volo. Per trovare la prima testimonianza di allevamento di api per la produzione di miele dobbiamo invece andare nell’Egitto del 2400 a.C., tempo in cui il suo consumo era prerogativa reale e divina. [2]
La bontà del miele dipende da due fattori: dal lavoro delle api per produrlo e dalla capacità dell’uomo di estrarlo mantenendo integre le sue caratteristiche. Per far ciò il miele che viene depositato dalle api nelle cellette dei favi deve essere estratto mediante centrifugazione e lasciato maturare in appositi contenitori per poi essere trasferito nei vasetti. Queste sono le uniche lavorazioni che permettono di mantenere integre le caratteristiche del prodotto così come lo hanno ottenuto le api, reso libero da eventuali impurità tipo cera residua.
Diversamente la pastorizzazione, procedura utilizzata in ambito industriale, rende il miele liquido stabilmente ma danneggia il prodotto: le alte temperature infatti distruggono molte componenti nobili del miele (motivo per il quale non andrebbe introdotto in bevande bollenti se non si vogliono perdere i suoi benefici).
Oltre l’aspetto nutrizionale del miele

Una cosa che deve interessarci, oltre all’aspetto nutrizionale, è l’impatto ambientale che deriva dalle pratiche umane. Cosa c’entra questo con l’argomento? C’entra eccome. Quando parliamo di miele inevitabilmente parliamo di api, di ecosistemi, di vita su questo pianeta. Perché? Perché c’è un filo rosso che lega la sopravvivenza della api alla nostra e a quella di tutta la biodiversità che caratterizza questo mondo. Parliamo di un rischio per l’ecosistema globale. Le api sono gli insetti impollinatori per eccellenza infatti. Cosa minaccia le api? L’uso di alcuni pesticidi, nel caso specifico parliamo di neonicotinoidi, altamente nocivi per le api. I paesi membri dell’Ue hanno approvato la proposta della Commissione europea che introduce il divieto di utilizzo all’aperto di tre pesticidi neonicotinoidi perché nocivi per le api. L’impiego dei principi attivi (imidalcloprid, clothiadin e thiamethoxam), che è molto diffuso in agricoltura, sarà consentito solo in serra. La decisione segue restrizioni già imposte dall’Ue nel 2013. L’Italia ha votato a favore della proposta di divieto insieme ad altri 15 Paesi (fonte Il Sole 24 Ore Aprile 2018). Ma nel frattempo cosa succede in Italia? Succede che il 13 febbraio il ministro Martina ha emesso un decreto incostituzionale per obbligare il popolo salentino (Puglia) all’irrorazione dei terreni coi tre sopracitati pesticidi neonicotinoidi banditi dal Parlamento europeo, per “combattere” la Xylella. Il loro utilizzo, però, ha una gravissima conseguenza: mettere a serio rischio la permanenza delle api sul pianeta Terra. Questa specie di insetti, infatti, può venirne a contatto direttamente, ma anche volando su campi vicini a quello contaminato, che potrebbero contenere dei residui di polveri della sostanza. Se usati a basso dosaggio, questi pesticidi provocano sulle api comportamenti anomali, ad esempio l’incapacità di rientrare nell’alveare o di riconoscere il profumo dei fiori, ma quando il dosaggio aumenta, la probabilità di morte diventa estremamente elevata. Sono nocivi anche per altri insetti e invertebrati. La conferma della pericolosità dei tre neonicotinoidi proviene da uno studio indetto dall’EFSA (European Food Safety Authority), una revisione di una precedente ricerca del 2013, alla quale erano seguite delle restrizioni rivelatesi insufficienti a fermare la moria di api.
I dolcificanti
Diamo adesso uno sguardo veloce ai famigerati dolcificanti.
Le sostanze dolcificanti usate nell’industria alimentare sono alcune decine e possono essere divise in dolcificanti naturali e dolcificanti artificiali.
Le diverse sostanze dolcificanti hanno potere dolcificante e apporto calorico molto vari. Anzitutto li distinguiamo in naturali e artificiali. I primi li troviamo in frutta e verdura e altri alimenti di origine vegetale hanno un potere edulcorante simile a quello dello zucchero ma un contenuto calorico pari a circa la metà di esso. Quello più utilizzato dall’industria alimentare è ricavato dall’amido di mais, a seguire tutti quelli che finiscono in – olo (mannitolo, sorbitolo, xilitolo, … ).
A chi va sconsigliato il consumo? Certamente a chi soffre di IBS (sindrome del colon irritabile) perché sono ricchi di polioli.
I secondi, quelli di sintesi, hanno un alto potere edulcorante (fino a 500 volte più dello zucchero) nonostante apportino zero o pochissime calorie. Tra questi aspartame, acesulfame, saccarina, ciclammati e sucralosio, eritritolo.
L’aspartame non è stabile alle alte temperature dunque non va utilizzato per preparazioni da cuocere e può dare effetti collaterali in soggetti particolarmente sensibili: vomito, mal di testa, nausea, dolori addominali. Rispetto ad altri dolcificanti intensivi, che possono avere un retrogusto sgradevole (la saccarina per esempio è amara), rimane molto dolce.

Tra questi trovo molto interessante l’eritritolo (nonostante il nome esplosivo 😉 ) è un polialcol naturalmente presente nella frutta e nei cibi fermentati. È un dolcificante molto valido in quanto ha zero calorie e indice glicemico pari a zero ma un ottimo sapore, privo di retrogusti. A livello industriale è ottenuto tramite fermentazione microbica ad opera di lieviti, non causa fermentazione intestinale ed è stato definito prodotto tooth –friendly.
A chi va consigliato il consumo? A chi deve seguire un regime alimentare low carb, a chi non può utilizzare altre sostanze dolcificanti (per i motivi descritti sopra), sempre scegliendo tra questi quelli più consoni al soggetto specifico.
Dunque …
Lasciate perdere le superstizioni sui cibi, le verità assolute e le dicerie di chiunque non abbia mai preso in mano dei testi di chimica, biochimica, fisiologia, patologia e nutrizione. Informatevi, certamente anche sul web ma, nel dubbio, chiedete sempre a chi del mestiere.
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