Mangia pesce che fa bene!
Si, ma come indirizzare la scelta verso quello migliore andando oltre al solo aspetto nutrizionale?
Una delle domande ricorrenti che mi viene posta è:
-Ma quindi il sushi posso considerarlo la principale fonte di pesce?-
Il mio consiglio è no. E vediamo il perché… e faccio outing: io detesto il sushi!
Anzitutto quando si mangia sushi o sashimi lo si fa accompagnandoli con salse e salsine, tipo soia o salsa di sesamo o alte, che sono salatissime o dolcissime, dunque occhio alla quantità di sale!
Ma torniamo al pesce. Si dice che tra le carni il pesce andrebbe preferito, e a ragione viste le sue qualità nutrizionali sicuramente migliori rispetto alla carne da animali terrestri: ricchezza in acidi grassi polinsaturi (i famosi omega 3), proteine più digeribili rispetto a quelle della carne per il minor contenuto in connettivo, ottima fonte di fosforo, calcio e iodio, vitamine del gruppo B e vit. A e D.
Ma non tutto il pesce che oggi arriva sulle nostre tavole è uguale in termini di qualità e sostenibilità ambientale, e su quest’ultima caratteristica è bene che prestiamo parecchia attenzione visto l’impatto ambientale che hanno i nostri consumi, anche quelli di pesce (soprattutto quando si seguono mode come quella del sushi all you can eat)!
Tra i vari tipi di pesce è sempre meglio prediligere quello azzurro e di piccola taglia. Perché?
Del pesce azzurro fanno parte: sardina, aringa, alice, sgombro, aguglia, palamita, merluzzo, serra, spratto, suro, leccia, lanzardo, alaccia, e qualche altro. A questo elenco si aggiungono altri pesci che non sono propriamente della categoria come il tonno.
La definizione di “azzurro” è puramente commerciale e si riferisce ad alcune caratteristiche fisiche (colore blu-verde sulla parte dorsale e scaglie laterali, forma affusolata e taglie medio piccole con le dovute eccezioni) e nutrizionali, le specie sono soprattutto marine.
Bisogna prediligerlo per il buon contenuto proteico dall’alto valore biologico, l’elevata digeribilità dovuta alla presenza di fibre muscolari corte e la buona qualità lipidica (la cui quantità varia a seconda del ciclo riproduttivo in cui si trova). Prediligere quello di piccola taglia perché accumula meno metalli pesanti come il mercurio rispetto a pesci di grossa taglia. Costa poco, il che porta spesso a ritenere che sia meno pregiato di altro pesce tanto da essersi guadagnato l’appellativo di pesce “povero”, in realtà essendo un prodotto locale perché pescato nei nostri mari e a disposizione durante tutto l’anno lo porta anche ad avere un costo ridotto. Prediligere pesce azzurro “povero” ha anche il valore aggiunto di impattare meno sull’ambiente visto che, come detto prima, si tratta di specie presenti nel Mediterraneo e che non vengono allevate (a parte il tonno).
Ma quanto è sostenibile la pesca oggi? E, soprattutto, quanto lo è la moda del sushi?
La risposta breve ad entrambe le domande è poco, molto poco.
Secondo la FAO esiste un divario niente male di sostenibilità della pesca tra paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, e nonostante nei primi sia più regolamentata è ben lontana dall’essere sostenibile. [1]
Per quanto riguarda l’itticoltura, se per gli allevamenti terrestri c’è più interesse nell’indagare le origini e le condizioni dei prodotti e del benessere animale, le implicazioni ambientali, non si può dire la stessa cosa degli allevamenti marini, necessari per soddisfare il consumo sempre screscente di pesce, soprattutto di salmone, orata, branzino, carpa e altri ritenuti pregiati.
Per esempio, tra i danni ambientali che l’itticoltura causa ci sono 43 milioni di tonnellate di gas serra emessi ogni anno e ingenti consumi di acqua, ossigeno, energia elettrica e farmaci. Si parla di tonnellate anche per i rifiuti e i liquami scaricati in mare e nei fiumi, dove alcune sostanze in eccesso eutrofizzano le acque, provocando una sovrabbondanza di alghe microscopiche e quindi, di attività batterica che porta alla morte delle forme di vita dei paraggi consumando ossigeno. Inoltre, buona parte del pesce di allevamento non arriva direttamente in tavola, ma diventa nutrimento per altri pesci considerati più pregiati.
Ma il pesce fa bene! Si d’accordo, ma ci vuole criterio nel consumo anche in questo caso. E comunque poi si scopre che alcune delle componenti più rinomate del pesce non hanno poi quest’impatto migliorativo sulla salute, di certo non da soli. Parlo degli omega-3. La recente systematic review Cochrane (18 luglio 2018) ha messo in dubbio l’effettivo ruolo degli omega-3, sia assunti come supplemento che tramite la dieta, sottolineando come in entrambe i casi il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari o di morire per qualsiasi causa si riduca di poco o nulla.
Ma ha anche evidenziato come ci siano prove scarse che non permettono risposte chiare sul beneficio di mangiare pesce per gli stessi motivi: anche se gli acidi grassi EPA e DHA (acido ecosapentaenoico e acido docosaesaenoico, che sono i principali omega-3 contenuti nel pesce) riducono la concentrazione di trigliceridi nel sangue, i supplementi degli stessi non sono utili per prevenire o trattare malattie cardiovascolari. Comunque, aumentare gli acidi grassi ALA ( acido alfalinoleico) da fonti vegetali invece potrebbe essere dare una modesta protezione verso alcune malattie.[2]
Pare che sia la dieta nel complesso, e quindi non un singolo componente o alimento, ad essere protettiva per la salute (toh guarda, l’ennesima conferma a riguardo 😉) .
Pertanto, il consumo di pesce va fatto scegliendo il pesce con un occhio di riguardo alla propria salute e a quella dell’ambiente.
Apro a tal proposito un’ultima parentesi sul tonno, uno dei protagonisti del sushi e del sashimi che vanno tanto di moda.
La qualità più pregiata è il tonno rosso, lo peschiamo anche nel Mediterraneo soprattutto per esportarlo in Giappone. Il tonno rosso è una varietà in estinzione proprio a causa della pesca senza scrupoli fatta per soddisfare le recenti mode alimentari, basterebbe già questo per evitare di consumarlo.
Sulle tavole dei sushi all you can eat non arriva di certo quella qualità di tonno, ma altre specie meno pregiate, così come sui banchi del pesce troviamo solitamente quello a pinna gialla.
Essendo un pesce grosso tende ed accumulare più mercurio, cadmio e piombo nelle sue carni, motivo per cui andrebbe consumato raramente.
Un ulteriore motivo per consumarlo con cautela è che le sue carni sono ricche dell’aminoacido istidina e se dopo la cattura non viene rispettata la catena del freddo rischia di trasformarsi, per opera di sovra-crescita batterica, in istamina responsabile di reazioni allergiche e intossicazioni da pesce, anche perché non viene degradata dalla cottura.
Adesso, sapete perché odio da sempre il sushi.
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