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Immagine del redattoreArianna Messina

Sulla Body positivity e sull’ossessione per i corpi

Aggiornamento: 15 gen 2023

Circa 10 anni fa nasceva l’hashtag #bodypositivity: in risposta agli stretti standard di perfezione fisica per svincolare il concetto di bellezza dal peso e dal colore della pelle.

La filosofia del movimento si basa sull’accettazione di sé, perché tutti i corpi valgono e devono essere trattati allo stesso modo, al di là di specifici caratteri estetici.

Body positivity significa considerare il corpo non solo come valido e accettabile, ma meraviglioso: in un mondo che spinge alla vergogna quando non si rientra in determinati parametri (di peso e taglia per esempio) quello della body positivity è senz’altro un messaggio potente.

Nella società dell’apparenza il movimento body positivity si impone come movimento di rottura di stereotipi e pregiudizi costruiti attorno all’immagine corporea, complici i continui messaggi dei mass media che fino agli inizi del 2000 ci hanno bombardate/i con messaggi sull’adeguatezza o inadeguatezza dei corpi a seconda delle caratteristiche che avevano.

L’avvento dei social non ha certamente ribaltato la situazione ma ha senza dubbio contribuito, nonostante tutto, a diffondere messaggi di critica agli standard imposti dalla società “riabilitando” la moltitudine dei corpi contrastando l’idea di bellezza omologata e il più delle volte irreale.

Quanto e come tutto ciò incide sul modo di percepire e concepire la propria fisicità? Fino a che punto la body positivity è la soluzione e quando inizia a essere un ulteriore problema? E ancora, la body positivity è in contrapposizione col concetto di salute?

Partiamo proprio dal concetto di salute: secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) quello di salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia.

Va da sé che la salute riguardi il complesso insieme di una condizione mentale e fisica e il modo in cui reagiamo e viviamo una determinata condizione.

Fatta questa doverosa precisazione, possiamo comprendere che qualora si vivesse un disagio verso il proprio corpo, accogliere quel disagio piuttosto che negarlo attraverso un atteggiamento di positività tossica e forzata, sarebbe un approccio più sano. Avere dei dubbi sul proprio aspetto, essere critiche/i, voler fare qualcosa per cambiare non è per forza sintomo di un piegarsi a imposizioni dettate dalla società, ammesso che questo venga fatto per raggiungere un ulteriore stato e grado di equilibrio personale slegato da obiettivi estetici standardizzati e irrealistici.

Ecco, forse il punto è proprio questo: l’imposizione di obiettivi o il raggiungimento di condizioni che non appartengono a quel corpo, che altrimenti non esisterebbe al di fuori delle sue specifiche caratteristiche o troppo lontano da esse.

Concentrarsi ancora e solo sul corpo e sulla fisicità non è forse il limite stesso della body positivity? Anche rivolgendoci al nostro corpo con parole gentili non smettiamo di oggettivizzarlo, confinandolo nella dimensione di elemento sulla base del quale gli altri ci giudicheranno, perché siamo i/le primi/e a farlo.

Nel caso di soggetti che soffrono di un DCA (Disturbo del Comportamento Alimentare), seppellire i veri sentimenti può essere opprimente “non puoi forzare una sensazione positiva quando semplicemente non c’è. Fingere può fare più male che bene. Può portare a sentirsi in colpa, vergognarsi e ad essere più depressa/o”.[1]

E se provassimo a cambiare questa percezione morbosa e ossessiva del corpo? Se provassimo a ribaltare l’idea che un corpo, per essere “in salute”, debba aderire a determinati canoni fisici?

Questo sembra essere il terreno più scivoloso: può la body positivity convivere col concetto di salute?

È ancora troppo radicata l’idea che a un corpo magro corrisponda una condizione di salubrità e che a un corpo grasso corrisponda quella di malattia. Questa è una visione fortemente semplicistica che, come tutte le visioni dualistiche, lascia fuori la complessità che ci caratterizza come esseri umani. Non si può decretare la condizione di salute solo sulla base del peso o del BMI (body mass index). La magrezza non corrisponde necessariamente a uno stato di salute, e la grassezza non corrisponde necessariamente a una condizione patologica.

Ammettendo che ci siano condizioni legate a peso e composizione corporea associate a stati patologici, ciò non vuol dire che quei corpi vadano discriminati a priori. Perdipiù, una condizione patologica non è univocamente associata all’eccesso ponderale. Ma anche puntare il dito contro i corpi più ossuti, pur non sapendo nulla della storia clinica di una persona, delle sue abitudini e della sua salute, relega quel corpo “pelle e ossa” nella sfera dei corpi inaccettabili. Lo abbiamo deciso noi: abbiamo girato l’interruttore dell’accettabilità solo sulla base della fisicità. [2]

Ciò non vuol dire promuovere l’obesità e nemmeno negare che l’obesità sia una patologia (multifattoriale e complessa), né tanto meno promuovere disturbi del comportamento alimentare.

Vuol dire slegarsi dal concetto che uno stato di salute sia giudicabile da un peso e una forma lasciando fuori l’intero contesto e la complessità. Vuol dire che sarebbe anche ora di smettere di essere così ossessivamente attaccate/i alla forma del corpo di chi ci parla, di chi incontriamo per strada o vediamo sui social. Amare e accettare il proprio corpo a prescindere che esso sia grasso, magro, in salute o malato è una faccenda strettamente personale, intima. Così come lo è decidere di cercare una perdita di peso o di allenarlo per migliorare la propria condizione o prestazione. Qualunque essa sia, la decisione spetta solo alla persona che abita quel corpo, ed eventualmente al/la professionista che la segue nel suo percorso. In molti casi intraprendere un percorso si rivelerà una scelta giusta. In altri casi potrebbe non esserlo, e i motivi possono essere innumerevoli e mai uguali.

Forse la body positivity dovrebbe lasciare il posto ad un concetto ancora più potente e rivoluzionario, quello della body neutrality, dell’accettazione dell’eterogeneità. L’omologazione dovrebbe cedere il passo alla multi-rappresentazione di tutte le combinazioni umane possibili.

Certamente dovremmo educarci a trattare i nostri corpi con rispetto e cura, comprese tutte le nostre insicurezze più profonde, e accettare il fatto che alcuni giorni saranno più difficili di altri.



Edited by Mariafrancesca Distefano @kirimacabree

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